Seleziona una pagina

Definizione

L’autismo è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale che provoca ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi.

Data la varietà di sintomatologia si parla di Disturbi dello spettro autistico (DSA o in inglese ASD) che comprendono una serie di patologie o sindromi aventi come denominatore comune le stesse caratteristiche che descrivono il disturbo autistico.

I sintomi iniziali possono essere riconosciuti dai genitori già entro i primi sei mesi di vita del bambino e la diagnosi corretta può essere espressa entro i primi tre anni.
Lo strumento diagnostico di cui si avvalgono gli psicologi e gli psichiatri è il DSM, il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali che elenca i disturbi mentali e fornisce una definizione dei sintomi e delle linee guida per formulare una diagnosi corretta.

Si stima che circa 60 milioni di persone nel mondo siano affette da disturbo dello spettro autistico. Nel 2017 la percentuale è stata di 1 caso ogni 160 bambini, prevalentemente maschi; negli ultimi 35 anni i casi diagnosticati sono aumentati notevolmente, grazie alla migliore capacità diagnostica dei medici e ai mezzi notevolmente più efficienti.

Origine e inquadramento storico

Il termine autismo viene dal greco autùs che significa “se stesso”.

Il primo che si occupò di formulare una diagnosi dei disturbi psicotici adatta ai bambini e agli adolescenti fu Krapelin che ricondusse tutti i casi di psicosi infantile al gruppo della demenza precoce.

Il termine autismo venne utilizzato per la prima volta nel 1908 da Eugen Bleuer che riferendosi ad una particolare forma di ritiro dal mondo causata dalla schizofrenia utilizzò questo termine. Egli individuò un importante sintomo nel ritiro dalla vita sociale strutturata nel sé che poteva essere osservata negli adulti schizofrenici, ovvero un restringimento delle relazioni tale da escludere qualsiasi cosa eccetto il sé proprio della persona.

Bisogna aspettare il 1943 perché Leo Kanner utilizzi il termine in relazione ad una specifica sindrome da lui studiata. Lo psichiatra infantile aveva osservato 11 bambini che presentavano sintomi simili e riconducibili ad un unico disturbo che chiamò autismo precoce infantile.

I piccoli pazienti di Kanner venivano descritti come tendenti all’isolamento, autosufficienti e felici se lasciati soli; poco reattivi in ambito relazionale e caratterizzati da linguaggio ecolalico. Molti erano spaventati da qualsiasi forma di cambiamento e in genere i sintomi erano accompagnati da un ritardo mentale generalizzato. Kanner aveva evidenziato le tre aree di deficit che caratterizzano l’autismo: la capacità di rimanere mentalmente soli, la ripetizione di semplici movimenti o espressioni e pensieri, di una routine e la limitatezza di interessi e infine una memoria meccanica eccellente.

Contemporaneamente a Kanner, Hans Asperger utilizzò il termine di autistichen psycopathen per definire un disturbo che stava studiando in alcuni bambini che presentavano gli stessi sintomi descritti di Kanner ma con capacità cognitive superiori. Dagli studi di Asperger si definirono i tratti di una sindrome chiamata sindrome di Asperger. I pazienti di Asperger erano caratterizzati da una forma di pensiero concreta, dall’ossesione per alcuni argomenti, dall’eccellente memoria e da modalità comportamentali e relazionali eccentriche ma, al contrario del pazienti di Kanner potevano diventare individui funzionanti ad alto livello, in grado di mantenere un lavoro e di essere ben inseriti nel contesto sociale.

Questa differenza era dovuta al fatto che i bambini affetti da quella che successivamente verrà denominata sindrome di Asperger avevano un eloquio scorrevole, un pensiero astratto sviluppato ma potevano avere difficoltà motorie sia nei compiti complessi che in quelli semplici.
Dal modello fino ad ora descritto detto modello psicodinamico si passò all’approccio detto organicista. Il primo a sostenere questa ipotesi fu Rimland che affermò che l’autismo era causato da alterazioni morfologiche e funzionali a base organica. Ad oggi non è stato ancora isolato un particolare elemento che possa essere considerato caratteristico di tutte le forme di autismo, tanto che si è portati a credere che i disturbi dello spettro autistico comprendano diverse patologie e manifestazioni provocate da diverse cause organiche.

Negli anni ’80 invece fu proposto un modello cognitivo che si basava sulla teoria della mente. Uta Frith affermò che la disfunzione cognitiva si originava da un’incapacità di rendersi conto del pensiero altrui per cui sarebbe carente o assente la teoria della mente.

Infine negli anni ’80 Wing e Gould distinsero tre tipologie di persone affette da autismo: gli isolati, i passivi e i bizzarri. Successivamente gli stessi autori portarono avanti uno studio da cui emerse che i disturbi di socializzazione, comunicazione e immaginazione hanno la tendenza ad apparire insieme piuttosto che isolati. Dato che questa classificazione risultava la più veritiera sia in termini di deficit che di frequenza nei soggetti autistici, da allora l’autismo è diagnosticato in base a queste tre aree sintomatiche.

Proprio sulla base di questi studi nel 1987 venne pubblicato il DSM III-R dove venivano distinte queste tre aree principali. Questo metodo di classificazione risulta funzionale dal momento che l’eziologia dell’autismo è tutt’ora sconosciuta, ed i criteri diagnostici si basano quindi sul riconoscimento di indicatori comportamentali. La pubblicazione dei successivi manuali mette in luce alcuni aspetti come le stereotipie, i comportamenti autostimolatori e la preoccupazione ossessiva per il mantenimento dell’immutabilità degli ambienti che la prima classificazione non metteva in luce.