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La sensorialità è alla base delle nostre emozioni e delle relazioni con ciò che ci circonda. Tutto ciò che conosciamo sul mondo e su noi stessi ha avuto origine attraverso i nostri sensi. Fin da bambini, infatti, l’interazione con l’ambiente è la fonte primaria di conoscenza.

Gli stimoli sensoriali vengono sentiti in modo elementare attraverso le sensazioni, che possono definirsi “affettive”, se provocano piacere o dolore, oppure “rappresentative”, se si riferiscono a gusto, tatto, olfatto, o calore. La percezione é l’interpretazione di queste sensazioni provenienti dal mondo esterno, attraverso una rielaborazione da parte di alcune specifiche aree del cervello, a cui sono connesse associazioni cognitive e memoria, che danno origine alla comprensione dell’ambiente circostante. Questa avviene quindi attraverso l’interazione con l’ambiente e l’elaborazione sensoriale; in sintesi, se i processi percettivi funzionano bene si é in grado di “dare un senso” all’ambiente intorno a noi. Un’elaborazione sensoriale al contrario alterata, compromette la possibilità di una relazione adeguata con l’ambiente e può rivelarsi davvero invalidante. Questa vulnerabilità sensoriale si può verificare come ipersensibilità agli stimoli, incapacità di inibire e filtrare le informazioni sensoriali non rilevanti, o percezione di una vera e propria “frammentazione” delle proprie sensazioni.

Le persone con disabilità mentale presentano frequentemente ipo- o iper-sensibilità sensoriale, che causa problemi nel regolare autonomamente i livelli di arousal, ovvero il livello di eccitazione in risposta alla reazione agli stimoli che arrivano dal contesto.

In casi di Disturbi dello Spettro Autistico, ad esempio, i sistemi di percezione e comunicazione possono essere causa di elevati livelli di ansia, comportamenti ossessivi o compulsivi. La scienza ha confermato da tempo che l’integrazione sensoriale avviene nel tronco encefalico e che le disfunzioni dell’integrazione sensoriale causano l’equivalente di un ingorgo stradale nel cervello. Non sempre si è in grado di riconoscere immediatamente le manifestazioni del sovraccarico sensoriale, ma comportamenti ricorrenti sono coprirsi le mani con le orecchie, autostimolazione come dondolarsi, sbattere le mani, vagare senza meta o altre stereotipie, fino ad arrivare a scatti d’ira o di aggressività. Questi meccanismi possono rivelarsi strategie di compensazione in situazioni di sovraccarico sensoriale, o talvolta ricerca di stimolo, quando si ha al contrario un’iposensibilità sensoriale.

Individui che hanno subito traumi, che hanno disturbi mentali o comportamenti problematici, inoltre, sono spesso del tutto inconsapevoli dei loro bisogni sensoriali e delle risposte di stress e non riescono a ricalibrare i sensi attraverso quella “dieta sensoriale” che in diversi momenti della giornata ognuno di noi varia, anche in modo non cosciente, al fine di adattarsi all’ambiente e agli stimoli del contesto.

Proprio in questi casi gli ambienti multisensoriali si rivelano particolarmente utili, poiché consentono di auto-regolare le stimolazioni e riequilibrarsi a livello sensoriale.

Più in generale, è stato dimostrato come gli interventi sensoriali favoriscano il contenimento delle esperienze emozionali, in modo che si riducano i livelli di stress e quindi l’aggressività e i comportamenti adattivi. L’intervento sensoriale può essere inoltre utile a distrarre e rifocalizzare l’attenzione e quindi favorire lo stato di calma, agendo sull’abbassamento dei livelli di attivazione e di arousal e su una regolazione dell’emozionalità.

Gli interventi sensoriali si basano su due tipologie di stimolo: quelli “esterni”, associati agli organi di vista, tatto, olfatto, udito e gusto, che attraverso la relazione con il mondo esterno, appunto, danno informazioni sul contesto e sulla propria sicurezza; i sensi “somatici”, invece, come la pressione sulla pelle, la consapevolezza del proprio corpo (propriocezione), dello spazio e dell’equilibrio (vestibolare), comunicano un senso di sicurezza “interno” e possono concorrere a favorire la calma.

Riconoscere le preferenze sensoriali, ovvero quelle sensazioni che possono dare piacere o rilassare, può essere tanto importante quanto conoscere quelle che provocano disagio, poiché possono essere di notevole aiuto, non solo per raggiungere lo stato di calma, ma anche per entrare in relazione ed empatia con la persona.

Molti studi hanno infatti dimostrato come gli ambienti sensoriali siano stati utili in risposta all’isolamento e la segregazione in casi psichiatrici acuti, presentando un abbattimento dello stress dell’89% e una riduzione dell’isolamento pari al 54% (Novak et al., 2012; Champagne, 2004).

Gli ambienti sensoriali sono stati utilizzati anche in casi di trauma (psicologico, ad esempio, a seguito di violenza) e riabilitazione, ovvero in situazioni che hanno avuto impatto sulla percezione emozionale della persona, la sensibilità sensoriale, il comportamento e le relazioni, lì dove l’apporto sensoriale può essere utile nel ricreare un senso di controllo personale, sicurezza, stabilità e calma.

Nella letteratura che descrive la sperimentazione degli interventi sensoriali, si definiscono stimolazioni utili a ridurre l’ansia e lo stress i suoni rilassanti, la musica classica, le luci colorate (da guardare e regolare), pesci o bolle d’aria che si muovono nell’acqua, oggetti di manipolazione, massaggi attraverso sedie dedicate, o una pressione profonda sul proprio corpo prodotta da elementi come, ad esempio, coperte molto pesanti. Le stanze Snoezelen nascevano negli anni ’70-’80, proprio dall’idea di rilassarsi o (ri)attivarsi, attraverso l’interazione con diversi stimoli sensoriali, quali i colori, le luci, la musica, i video, gli aromi, ecc.

L’evoluzione degli ultimi anni vede l’utilizzo di tutti questi elementi di interazione sensoriale, in spazi dove gli elementi stessi siano integrati in un ambiente che già di per sé sia sensoriale, interattivo e comunicativo. La conformazione degli spazi sensoriali parte da un’idea di accoglienza, che mira a trasmettere sicurezza, protezione e contenimento. L’ambiente deve essere inizialmente neutro, in modo da adattarsi alle diverse persone che vi entrano e alle loro particolari sensibilità sensoriali. Questo come è possibile? Attraverso l’utilizzo delle più recenti tecnologie, che possano collaborare alla regolazione sensoriale e al controllo ambientale, adattando lo spazio in modo dinamico alle diverse esigenze. In questo modo, attraverso una tecnologia semplice e flessibile, l’utente stesso, o l’operatore, può trasformare l’ambiente e renderlo completamente personalizzabile: cambiare il colore e l’intensità delle luci, scegliere una musica coordinata a immagini o a una videoproiezione, o a diversi aromi, per ricreare scenari integrati che riproducano anche i propri riferimenti familiari, stimolando i ricordi, le sensazioni positive, il pensiero felice.

L’idea di DU IT nasce quindi dall’evoluzione degli spazi Snoezelen e di integrazione multisensoriale, unendo le diverse competenze di architettura, psicoterapia e tecnologia, per lo sviluppo di un software, che diventi strumento terapeutico in uno spazio “facilitato” e “facilitante”. Tutte le discipline sono integrate in un unico sistema e provano insieme a rispondere alle diverse esigenze delle persone con tutti gli strumenti a disposizione, per una massima ottimizzazione dello spazio e delle stimolazioni proposte, partendo dalle esigenze definite in uno strumento unico e semplice da usare, con cui gli operatori possono scegliere l’intervento terapeutico più consono e gli utenti possono regolare da soli gli stimoli sensoriali a loro più adeguati per riequilibrarsi e riattivarsi. In ognuno di questi ambienti quindi, attraverso un i-pad, un touch screen a parete, o anche un telefono, si può interagire con lo spazio e ricreare lo scenario più congeniale alla persona, o al percorso terapeutico predisposto.

F. parla della sua esperienza nell’ambiente sensoriale come un sollievo, un beneficio che in solo pochi minuti, può trasmettersi anche per un mese. V. parla della prima volta in cui è entrata nell’ambiente sensoriale come la prima volta in cui ha sentito il cervello fermarsi e avere un momento di pace e relax.

Queste sensazioni possono essere di beneficio, quindi, non solo in senso terapeutico, ma anche per la qualità di vita di tutti i giorni, delle persone, ma anche delle loro famiglie e degli operatori.

Si parla dell’utilizzo di stanze multisensoriali per le persone con disabilità cognitive o disturbi mentali, ma non si pone abbastanza attenzione al beneficio che potrebbero avere in termini di abbattimento dello stress.

Questi ambienti possono avere, invece, tantissimi utilizzi: in ambito scolastico, ad esempio, possono essere utili per potenziare lo sviluppo educativo del bambino e favorire le situazioni di ADHD, iperattività o disturbo dell’attenzione, migliorando anche l’integrazione e l’inclusività tra i diversi bambini; in ambito sanitario, può andare a favorire l’umanizzazione degli spazi ospedalieri, essere uno strumento di distrazione e rifocalizzazione, andando a ridurre le criticità e lo stress dato dagli interventi medici, fino a migliorare la sopportazione del dolore (come è stato dimostrato in diversi studi, ad esempio nei riparti di chirurgia, pre- e post-operazione, o di ustione), accompagnare le donne nella fase del parto, supportare la riabilitazione neurovegetativa, ecc.; in ambito lavorativo, infine, può rivelarsi un’ottima strategia per abbattere lo stress da lavoro correlato e nello specifico degli operatori, come prevenzione al burnout.

Elena Bellini, Architetto, Ph.D.

Architetto (2012) e Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura (2018) presso l’Università di Firenze. Impegnata da anni nella ricerca per i temi di edilizia socio-sanitaria e accessibilità. Docente a contratto in Building Systems Design (DIDA-UNIFI). Co-founder di DU IT (2015), startup innovativa di ambienti sensoriali per disabilità cognitiva, e responsabile della Ricerca e Sviluppo.