È un fatto risaputo che un intervento precoce e la costanza delle terapie portano risultati stupefacenti nei bambini con disturbo dello spettro autistico, ma quando si riceve la diagnosi del proprio figlio cercar di vedere chiaro è sempre difficile.
Le tipologie di terapie sono molte e non è facile per i genitori neofiti di questo mondo fare una scelta veloce ma al tempo stesso efficace. Io sono sempre stata una persona schietta, ho sempre avuto bisogno di prove tangibili prima di credere o seguire qualcosa; quando mi fu proposta Aba, mi documentai a sufficienza per capire che quella era la terapia giusta. Scendendo nello specifico, la terapia che seguo con mio figlio di tre anni e mezzo è Early Start Denver Model, un modello strutturato su Aba ma indicato per i più piccoli. Aba (Applied Behavior Analysis) riscontra risultati a livello scientifico proprio perché di fatto è una scienza di tipo comportamentale e si dimostra utile, se non indispensabile, per altre tipologie di disabilità e non. Quando capii che con questo intervento avrei avuto sempre a portata di mano l’andamento degli obiettivi e dei progressi di mio figlio non ci pensai due volte e da subito imparai che i comportamenti di ciascuna persona sono una risposta all’ambiente, ciò che ci circonda, ovvero un luogo, una situazione e anche una o più persone.
L’ambiente è davvero importante per strutturare un intervento e all’interno delle scienze comportamentali e psicologiche ha un nome preciso: setting. Durante le ore di terapia i miei principali setting sono due: il DTT e il NET.
Il DTT (Discrete Trial Training) è un setting completamente strutturato che tendenzialmente si svolge a tavolino. Se pensiamo alla disposizione dell’ambiente scolastico è facile capire il DTT poiché la posizione attentiva che si assume al banco è l’ideale per l’apprendimento; tuttavia presenta sia vantaggi che svantaggi. Se da un lato mi consente numerose prove di insegnamento, dall’altro mi svantaggia sul tema della generalizzazione, ovvero, se dopo aver fatto acquisire determinate abilità al bambino queste non vengono riproposte in ambiti diversi dal tavolino, con molta probabilità non verranno replicate nonostante l’acquisizione. Durante i momenti in cui utilizzo in autonomia il DTT per far apprendere abilità specifiche a mio figlio, il tavolino è vuoto con eccezione del materiale con cui sta interagendo, quindi un ambiente pulito e chiaro; se invece guardiamo il mio lato, sotto al tavolino c’è un vero e proprio marasma di giocattoli o materiali pronti da usare e proporre, perché è davvero importante che durante il DTT ci sia una tempistica veloce di cambio attività.
Trovo che l’ambiente strutturato del DTT sia davvero indispensabile per l’insegnamento e l’acquisizione, ma essendo mio figlio ancora piccolo il mio setting preferito è sicuramente il NET.
Nel NET (Natural Environment Training) l’ambiente fisico è naturale, esattamente come può esserlo l’angolo giochi nelle nostre case. In questo tipo di setting è la motivazione del bambino a iniziare l’attività e bisogna guidarla affinché si completi in modo funzionale, insegnando a utilizzare i giocattoli e condividendo l’attività. In casa mia l’angolo giochi non è del tutto strutturato, nel senso che ho dei ripiani adibiti ai libri e un mobile accessibile al bambino con cassetti suddivisi in categorie (macchinine, animali, incastri…); tuttavia il piano dove avviene il gioco è scelto liberamente dal bambino. Tengo come regola di lasciare a disposizione su tale piano un tot di giochi per una o due settimane e poi cambio, cosicché ci siano sempre stimoli nuovi ma anche il tempo per conoscerli e condividerli.
Se nel DTT sono io che dirigo l’attività ai fini dell’apprendimento, nel NET è il bambino a decidere cosa fare motivato solo dal suo interesse, io sono una guida e una fonte di aiuto.
Esiste un’altra tipologia di setting che è quella incidentale (IT – Incidental Training) dove l’insegnamento avviene in un ambiente naturale all’interno della routine quotidiana; qui è il bambino che risponde agli stimoli dell’ambiente in maniera autonoma e siamo noi a dover modellare e guidare i suoi comportamenti qualora non siano corretti.
Per concludere è importante strutturare il setting in base all’obiettivo che vogliamo raggiungere, tenendo però sempre ben chiaro in mente che la vita non è strutturata e che quindi non possiamo mai essere rigidi per troppo tempo o organizzare gli spazi per la tranquillità del bambino; bisogna vivere e insegnare in quella che io chiamo (in maniera ossimorica) una “ferma flessibilità”: seguire una linea principale affinché ci sia l’apprendimento e l’acquisizione ma scoprendo tutte le sfumature che l’ambiente è in grado di fornire.
In fondo, a pensarci bene, non funziona così per tutti?
Anna Fumagalli è una mamma che come tante altre affronta le difficoltà del suo bambino con disturbo dello spettro autistico. Ha fatto della costanza e della comunicazione le sue armi per destreggiarsi tra crisi, stereotipi e isolamento dovute alla condizione di suo figlio; ad oggi ha attivo il profilo “Mamma Vs Autismo” sulle piattaforme social (Facebook, Instagram e YouTube) per essere di supporto psicologico a chi si affaccia a questo mondo per la prima volta, cercando di dare coraggio e speranza a chi non riesce ad andare oltre la diagnosi.